Fede Galizia la mirabile pittoressa trentina che nell’epoca della Controriforma piaceva agli scrittori. La mostra al Castello del Buonconsiglio di Trento.
Non sono molte le pittrici che hanno lasciato un segno nella storia dell’arte ma tra Cinque e Seicento alcune raggiunsero fama e successo. Accanto a Sofonisba Anguissola e Artemisia Gentileschi spicca anche Fede Galizia, pittrice di origine trentina, che viene celebrata al Castello del Buonconsiglio di Trento, fino al 24 ottobre 2021, città che diede i natali al padre Nunzio, anche lui pittore, e alla quale anche Fede fu in qualche modo legata. L’arte di Fede – un nome programmatico per l’Europa della Controriforma – spopola tra i committenti dell’epoca e le opere di questa pittrice – documentata a Milano almeno dal 1587, dove visse fino alla morte, avvenuta dopo il 1630, – e debuttano persino alla corte imperiale di Rodolfo II d’Asburgo tramite la mediazione di Giuseppe Arcimboldi.
Il trasferimento – da Trento a Milano – della famiglia Galizia, di origini cremonesi, deve essere avvenuto sulla scorta del poliedrico padre, Nunzio, artista pure lui, impegnato nel mondo della miniatura, dei costumi, degli accessori, ma anche in quello della cartografia. Fede – un nome programmatico per l’Europa della Controriforma – ottiene un successo straordinario tra i committenti dell’epoca, tanto che opere sue raggiungono, prima del 1593, tramite la mediazione di Giuseppe Arcimboldi, la corte imperiale di Rodolfo II d’Asburgo. Gli studi novecenteschi, soprattutto italiani ma non solo, hanno dato particolare risalto all’attività di Fede come autrice di nature morte, alle origini di questo fortunato genere. Sembra giunto il momento di ripensare nel suo complesso il profilo dell’artista, che realizzò soprattutto ritratti ma anche pale d’altare, destinati a sedi tutt’altro che locali (Napoli, per esempio). A tutt’oggi non esiste un repertorio completo delle numerose testimonianze letterarie che celebrano, in versi e in prosa, le doti di Fede Galizia, da intrecciare con un completo regesto documentario, che sarà approntato per l’occasione. La mostra, curata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, aspira a rispondere, tramite la
presentazione delle opere dell’artista e adeguati confronti, alla domanda: perché Fede Galizia piaceva tanto? Quali sono le ragioni del suo successo nell’epoca in cui visse? Quanto ha pesato, in questo, il suo essere donna? Come cambia l’apprezzamento di un’opera d’arte tra il lungo crepuscolo del Rinascimento e il mondo di oggi? “Attraverso una sagace opera di promozione, Fede viene piroettata fino agli alti ranghi del suo tempo, dando vita a un vero ‘fenomeno Galizia’ – commenta Giovanni Agosti, curatore della mostra assieme a Luciana Giacomelli e Jacopo Stoppa -. Il percorso è pensato come un momento di formazione che vuole contribuire a far comprendere un fenomeno culturale. Fenomeno che passa attraverso la messa a punto di un regesto delle vicende estere di Fede e di Nunzio”.
Piaceva molto questa “mirabile pittoressa”, soprattutto agli scrittori. La figlia d’arte apprezzata per le sue Giuditte, i ritratti, le pale d’altare, e soprattutto le nature morte – dove tra pesche e cavallette riesce a trasmettere il respiro della vita silente – si racconta al pubblico attraverso le nove sezioni del percorso.
In mostra un’ottantina di opere tra dipinti, disegni, incisioni, medaglie e libri antichi. Oltre a opere di Fede Galizia, Plautilla Nelli, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Barbara Longhi, ci saranno lavori di Arcimboldi, Bartholomeus Spranger, Giovanni Ambrogio Figino, Jan Brueghel e Daniele Crespi, provenienti dai più importanti musei italiani, come la Pinacoteca di Brera e il Castello Sforzesco di Milano, gli Uffizi di Firenze, l’Accademia Carrara di Bergamo, Palazzo Rosso di Genova, la Fondazione Cini di Venezia, la Galleria Borghese di Roma, oltre ad alcuni prestiti internazionali: dal Muzeum Narodowe di Varsavia, dal Ringling Museum of Art di Sarasota, dal Palacio Real de la Granja di San Ildefonso, oltre che da alcuni collezionisti privati. C’è l’excursus sulle donne pittrici nell’epoca della Controriforma, prologo all’esperienza di Fede Galizia, e c’è la Trento del Concilio, città in preda ai venti internazionali, artistici e culturali, che aleggiano tra le botteghe d’arte e la wunderkammer del cardinal Madruzzo, raffinato custode di antichità. A sottolineare il legame tra Fede e la città è tuttavia la raffigurazione del «beato» Simonino da Trento. Non manca Milano, che nel Cinquecento era già capitale europea delle industrie del lusso, dove Nunzio il padre di Fede, alle prese con profumate paste muschiate e ventagli alla spagnola, domina la scena e dove, fin dal 1587, sua figlia è celebrata per la sua attività di pittrice.
In questa sezione della mostra, troviamo la prima veduta tridimensionale della città realizzata nel 1578 da Nunzio, e il pubblico ritrova il milanese Arcimboldo, main sponsor delle doti della giovanissima Fede.
Spettacolari le Giuditte, un soggetto affrontato più volte, in tauni casi riproponendo addirittura la stessa immagine (come per il dipinto datato 1601 della Galleria Borghese), che mostra il gusto di Fede per costumi e gioielli, grazie a suo padre Nunzio super intenditore. Perno della quinta sezione è la Giuditta del museo di Sarasota, firmata e datata 1596.
Occorre sottolineare gli influssi della pittura di Correggio, riferimento prioritario per Fede, e del Parmigianino, come attesta la “Santa Caterina” che giunge dalla raccolta dei principi Borromeo; del primo la pittrice studia le opere, a partire da quelle presenti nel contesto milanese, come l’”Orazione nell’Orto”, oggi nella londinese Apsley House, ma a Milano tra Cinque e Seicento; o anche la “Zingarella” (oggi a Capodimonte) e la “Madonna della cesta” (oggi alla National Gallery di Londra), nelle quali individua un timbro devoto e sentimentale. In questa mostra al Castello del Buonconsiglio sfilano anche il ritratto di Paolo Morigia della Pinacoteca Ambrosiana, e quello di Ludovico Settala, il medico della peste manzoniana, accanto a Federico Zuccari e alla principessa di Monaco Ippolita Trivulzio.
E infine non poteva mancare tra le pale d’altare, il “Noli me tangere”, capolavoro della Pinacoteca di Brera; la minuziosa descrizione dei fiori, in primo piano, i gesti misurati e la preziosità esecutiva delle vesti, esaminati con il cannocchiale del tempo, dovevano restituire fama all’artista nella Milano a cavallo tra XVI e XVII secolo. Ultima, in mostra, la sezione dedicata alle nature morte, un genere nuovo, introdotto forse a Milano, intorno alla metà dell’ultimo decennio del Cinquecento, da Giovanni Ambrogio Figino, un pittore di tradizione leonardesca. Ma sarà la Canestra di Caravaggio, appartenuta al cardinale Federico Borromeo, a cambiare le carte in tavola, sollecitando Fede a misurarsi, tra temi e variazioni, con il nuovo corso della pittura.
Carlo Franza