Archipenko in Italia. I rapporti fra Archipenko e l’arte italiana in mostra alla Matteo Lampertico Fine Art di Milano.
ML Fine Art presenta per la stagione autunnale la prima mostra in una galleria italiana dedicata ad Alexander Archipenko (1887-1964), organizzata in collaborazione con Stephenson art, Londra e con il supporto della Fondazione Archipenko.
La mostra, dal titolo Archipenko in Italia, aperta fino al 12 dicembre 2021, presenta una selezione significativa di sculture, disegni e sculto-pitture dell’artista – parte delle quali provenienti dalla famiglia dell’artista – e intende fare luce sui rapporti fra l’arte italiana e lo scultore americano, originario dell’Ucraina. Per questo motivo le sue opere saranno presentate insieme a quelle degli artisti che maggiormente si sono ispirati al suo esempio come Umberto Boccioni, Gino Severini, Alberto Magnelli, Enrico Prampolini, Fortunato Depero, ma anche Giorgio De Chirico e Carlo Carrà. Il progetto espositivo per la prima volta restituisce in modo sistematico e approfondito il ruolo avuto da Archipenko nell’arte italiana della prima metà del secolo e sarà accompagnato da un catalogo curato da Maria Elena Versari.
Per i Futuristi della prima ora non mancarono occasioni di conoscere personalmente lo scultore e visitare il suo studio a Parigi. La sua fama, nell’ambito dell’arte di avanguardia, fu sostenuta fin da subito da Blaise Cendrars, Andrè Salmon e Guillaume Apollinaire. Quest’ultimo nel 1914 si vide licenziato dal giornale per cui scriveva per aver difeso le opere dell’amico scultore. Meno noti sono invece i rapporti con Alberto Magnelli, che in quello stesso anno acquistò in blocco tre delle sue più famose (e più radicali) opere allora esposte al Salon des Indépendants. Tra queste Pugilatori (Boxers), esposta in mostra.
La continua sperimentazione formale di Archipenko e i suoi rapporti con i Futuristi già prima del 1914 favorirono il diffondersi della sua fama in Italia. Particolarmente importante fu la sua invenzione della sculto-pittura che, partendo dalle ricerche dell’assemblage cubista e futurista arriva a creare una nuova forma d’arte multimaterica intesa a riunire, appunto, pittura e scultura. Come Maria Elena Versari ha suggerito già nel 2005, e come hanno poi ribadito i principali studiosi del campo, Giorgio De Chirico e Carlo Carrà si ispirarono alle sculture di Archipenko per ideare i celebri manichini ricorrenti nella pittura metafisica. Nel 1920, con la retrospettiva organizzata in occasione della Biennale Internazionale di Venezia, lo scultore raggiunse una consacrazione definitiva e divenne il punto di riferimento per una generazione di artisti che, pur legati all’avanguardia, non ripudiavano la ricerca formale sul corpo umano e la sua rappresentazione. È infatti possibile rinvenire in molte opere del secondo Futurismo riferimenti più o meno evidenti alle idee di Archipenko: come nelle ricerche di Enrico Prampolini, Nicolay Diulgheroff, Fillia, Fortunato Depero, ma anche di scultori come Mino Rosso, Regina e Thayaht.
Le opere di questi artisti italiani sono messe a confronto negli spazi di via Montebello 30 con alcuni capolavori concepiti nei primissimi anni Dieci e rappresentativi delle novità introdotte in scultura da Archipenko: Figura drappeggiata, del 1911, che influenzò le ricerche scultoree di Umberto Boccioni; il già citato Pugilatori, del 1914; e Figura seduta, ideata intorno al 1913 e che riprende l’impianto del celebre Medrano I. Sono esposti inoltre disegni e gouaches dello stesso periodo – che ben evidenziano da una parte i contatti con il Futurismo italiano, dall’altra quelli con la pittura metafisica – e due sculto-pitture policrome che testimoniano della radicale innovazione apportata da Archipenko nel campo dell’arte moderna.
Fra le opere di arte italiana presenti in mostra, Penelope di Carlo Carrà (1917) – uno dei capolavori metafisici dell’artista – e Uomo con cappello di Alberto Magnelli (1914), un’opera creata all’epoca del famoso acquisto delle opere esposte nel Salon parigino, e che la critica ha recentemente messo in relazione proprio alle sperimentazioni dello scultore americano. Gli esiti successivi alla Prima guerra mondiale sono illustrati da Torso in space del 1935-1946, una scultura in alluminio, un materiale utilizzato molto spesso anche dagli artisti futuristi. Quest’opera dialoga visivamente negli spazi della galleria con le coeve ricerche sulla figura umana di Fillia, Prampolini, Diulgheroff e Depero.
Carlo Franza