L’osteria dei pittori. A La Nuova Pesa a Roma, una mostra celebra la storica Trattoria dei Menghi.
“L’osteria dei pittori”, il titolo della mostra che oggi propone La Nuova Pesa a Roma, da un’idea di Roberto Gramiccia, prende volutamente a prestito quello del libro di Ugo Pirro (Ugo Pirro “Osteria dei pittori”, 1994, Sellerio Editore Palermo). Questa piccola perla letteraria, attraverso le vicende, gli incontri e gli scontri, presso la trattoria romana dei Fratelli Menghi in via Flaminia, di artisti che esprimevano il meglio della ricerca estetica degli anni Cinquanta e Sessanta getta un cono di luce su un periodo irripetibile della storia dell’arte. Il re indiscusso di quella osteria – in realtà un vero e proprio cenacolo di raffinati intellettuali (non solo pittori) – era senza dubbio Mario Mafai(osservate l’opera qui proposta in copertina libro). Ebbene, Mafai usava disegnare o dipingere sui tovaglioli e sulle tovaglie dei Menghi, imitato da altri artisti quasi sempre squattrinati, come Turcato Dorazio e Consagra, i quali spesso con quei tovaglioli pagavano pranzi e cene innaffiati da un pessimo bianco dei Castelli romani. In questo progetto, la trattoria dei fratelli Menghi e il libro di Pirro sono uno spunto per alludere a una realtà precisa che ha trovato in Roma, e nella cultura meridiana cara ad Albert Camus, una patria ideale. Una realtà che rintraccia nella convivialità, nel piacere della tavola e nello stimolo a un confronto umano e umanistico mai stanco. Un valore che il tempo in cui viviamo -e lo vediamo bene- tende tristemente a disperdere. Sono cinquanta gli artisti, fra i migliori dell’attuale panorama, che hanno accettato di utilizzare dei semplici tovaglioli di stoffa per realizzare le proprie opere. L’insieme di esse fornirà la mise in scène di un cenacolo di artisti entro il quale ogni singolo tovagliolo può essere il simbolo di chi, mangiando bevendo parlando, magari progetta una rivoluzione che cambierà il mondo o inaugura una nuova Avanguardia artistica. Non pensiamo solo ai Menghi ma al Cabaret Voltaire di Zurigo, a Le Chat noir di Parigi, ai caffè Aragno e Greco nella Roma del primo-Novecento, al Jamaica di Milano, a Rosati, a Canova, al Bar della Pace, a Pommidoro. Oltre alla raccolta di “opere su tovagliolo”, ci sono altre sorprese non di poco conto…Converrà farci una capatina. Pagarsi il pasto… con un disegno, questa è stata una pratica di tantissimi artisti che ha portato i ristoranti di mezza Italia a ritrovarsi con delle grandi collezioni. Voglio qui ricordare le trattorie di Palazzolo Sull’Oglio (in primis L’Osteria La Villetta) con i tovaglioli disegnati (Perilli, Soulè, Marisa Settembrini, Pistoletto, Keizo, Bricalli, Tony Tedesco, Garcia Rossi, De Marco, Le Parc, Bonalumi, Tadini, ecc. ) grazie a me e a Franco Rossi dello Studio F22; o a Loreto nella trattoria Da Norma sempre con la mia supervisione (Rachele Bianchi, Marisa Settembrini, Bruno Mangiaterra, una poesia di Carlo Franza, Maria Cristina Carlini, ecc.) È proprio a questa tradizione -un vero e proprio rito- che vuole omaggiare la mostra collettiva organizzata alla galleria della Nuova Pesa di Roma, dedicando un’intera esposizione al disegno su tovagliolo. L’Osteria dei pittori, così si chiama la mostra ideata e curata da Roberto Gramiccia: il nome riprende l’omonimo libro di Ugo Pirro e la sua atmosfera di metà secolo, informale e intellettuale allo stesso tempo. Questo storico libro e una preziosa materia letteraria narra infatti le vicende che ruotavano attorno alla trattoria romana dei Fratelli Menghi in via Flaminia, dove si riunivano grandi personalità della cultura e dell’arte degli anni Cinquanta e Sessanta, primo tra tutti Mario Mafai, ma anche Giulio Turcato, Dorazio, Consagra, Scarpitta, Sanfilippo, Accardi, Leoncillo, Attardi e ancora Fellini, Flaiano, Monicelli, Moravia e il poeta Sandro Penna. Sulle tovaglie e i tovaglioli dei Menghi, Mafai e gli altri improvvisavano piccole opere d’arte per pagarsi da mangiare e da bere, un gesto che riassumeva questo ambiente creativo e affettuoso, unico nel suo genere. È proprio questo spirito che Gramiccia ha voluto replicare negli spazi di via del Corso – a due passi da Piazza del Popolo e quella via Flaminia dove si trovava l’osteria – coinvolgendo ben cinquanta artisti in una mostra aperta al pubblico fino al 25 febbraio 2022. Eccoli: “Alfani, Aquilanti, Basso, Bulzatti, Cademartori, Calabria, Calignano, Capogrosso, Caporossi, Ceccobelli, Ciuffetelli, Colagrossi, Crudi, Dessì, Di Stasio, Dormino, Filippetta, Florescu, Fusj, Galizia, Gandolfi, Gironda, Grosso, Levini, Limoni, Lotito, Magni, Modica, Mulas, Nalli, Nonnis, Nunzio, Padroni, Palmieri, Pietrosanti, Politi, Pulvirenti, Rotiroti, Ruffo, Salvatori, Sanna, Sarra, Savini, Schirripa, Scolamiero, Solendo, Soscia, Stuchy, Turco, Verrelli. Per capire l’aria che si respirava in trattoria, ecco cosa dice Pirro della Roma dal dopoguerra fino alle prime luci del miracolo economico: “La sera andavano da Menghi, osteria di via Flaminia. I fratelli Menghi, osti avidi soprattutto di notti avventurose e interminabili discussioni, facevano credito senza garanzie a tutti i giovani talenti dell’arte astratta e d’avanguardia, alle loro compagne e ai loro amici. Salvavano così dalla triplice censura (del mercato, del governo, del realismo socialista) un pezzo dell’arte italiana. E proteggevano il fluire, insieme al vino tra i loro tavoli, di un frammento della storia”; la discussione, come spesso capitava, era accesa; e ancora: “Mentre parlava Mafai disegnava sulla tovaglia di carta macchiata dal vino di Frascati tante facce in fila, una processione; poi le cancellava. All´altro capo del tavolo anche Consagra parlava e disegnava: figure geometriche. Al momento di pagare il conto, poi, ebbi una sorpresa. Nessuno tirò fuori una lira”. Da Menghi, all´epoca, si mangiava a credito. E proprio questo aveva fatto la fortuna del locale, frequentato da schiere di artisti squattrinati. La storia culturale della Roma degli anni Cinquanta sembra scandita dalla vita di bar e ristoranti: da Rosati a piazza del Popolo (Canova non aveva ancora aperto) a Otello in via della Croce, fino ai tavolini di via Veneto e, per l´appunto, a Menghi. Dice Pirro: “In effetti a Roma hanno fatto più i caffè e le trattorie che non i giornali e i circoli culturali. Ti sedevi e ti trovavi accanto a tanta gente interessante, da Moravia a Cardarelli. I tavoli erano come le sedi di vari clan. Non che non ci si mischiasse. Da Menghi eravamo quasi tutti di sinistra; ma veniva pure qualche democristiano. E, con i pittori, incontravi giornalisti, cineasti, attori. Ogni locale, tuttavia, aveva una sua identità; anche se, di anno in anno le frequentazioni potevano cambiare. I pittori, ad esempio, erano approdati sulla Flaminia, una vera migrazione, dopo che il loro vecchio ritrovo -Il re degli amici di via della Croce, dove con Guttuso e Carlo Levi potevi imbatterti in una tavolata con Orson Welles, Togliatti e Tyron Power- aveva assunto un´aria più mondana, alzando i prezzi. Ma c´erano molti altri ritrovi, anche se meno famosi, come un´osteriola di piazza San Carlo, che poi è diventata La Capricciosa, o una rosticceria di piazza Barberini dove Turcato, quando aveva venduto un quadro e si ritrovava qualche lira in tasca, andava ad abbuffarsi di pollo arrosto e filetto di baccalà”.
E ancora Pirro: “L´osteria negli anni Cinquanta era un vero punto di riferimento non solo per i giri degli intellettuali, ma anche per la vita popolare. In molti casi c´erano gruppi di amici che facevano capo a una trattoria tassandosi regolarmente: le quote servivano a creare dei fondi comuni ai quali attingere per pagare pantagrueliche cene sociali, o per prestare soldi ai soci che avevano bisogno di qualche lira extra. All’ osteria si discuteva. Ci si divertiva, con certe battute fulminanti, stile ‘Guttuso? La picassata alla siciliana´. Oppure si litigava. A volte si cominciava per questioni ideologiche, anche se a dibattere erano pittori comunisti contro pittori comunisti. Ricordo la lotta degli astrattisti contro i neorealisti. C’era aria di cambiamento. Levi, Afro, Cagli, Accardi, tanti altri erano pieni di progetti, ma non sapevano dove mettersi, però ci provavano. Poi entravano in gioco i temperamenti. E magari finiva pure a botte. Ogni tanto si organizzava una mostra; ma non si vendeva niente. Piazzare un quadro era un´ impresa. Una volta Turcato aveva un appuntamento alle nove di mattina per vendere un quadro: mi ha tenuto in piedi tutta la notte perché aveva paura di non svegliarsi e di arrivare in ritardo all´ appuntamento”.
E ancora: “La maggior parte di noi viveva attorno a Piazza del Popolo. Ma era un altro mondo. In via della Fontanella, qui di fronte a dove abito adesso, c´era uno dei bordelli più cari di Roma. In via Margutta, prima che aumentassero gli affitti, c´erano gli studi di Consagra, Perilli, Turcato… Tutti stentavano a vivere, non avevamo alcuna possibilità economica. Anche andare al cinema era un lusso. Ma stare senza un soldo in tasca allora era normale. Ce ne stavamo sempre in giro ed era facile farsi degli amici. Si formavano legami molto forti: un senso dell´amicizia che del resto in quegli anni attraversava non solo Roma, ma tutta l´Italia. Il modo di stare assieme oggi è molto cambiato. Il benessere ha creato delle isole. Allora invece vivevamo in tanti vasi comunicanti, animati da un forte spirito di collaborazione. Bisognava ricostruire, cercare nuove strade, rifare tutto da capo: i negozi, le strade, i vestiti, l´arte… Senza programmi precisi. Anche il lavoro era molto diverso. Tutto era abbastanza occasionale; ma le opportunità non mancavano. E c´era una grande mobilità delle idee. Non è che uno che si svegliava la mattina e decideva di fare qualcosa. Il mutamento, però, era nelle cose”. Ecco ora questa mostra a La Nuova Pesa a Roma che rievoca quei rapporti, quel luogo magico che è stata la trattoria dei Fratelli Menghi; altra aria, altra storia, bei tempi che non ci sono più.
Carlo Franza