“Lo sciopero della cultura. Arte e musei nell’epoca della protesta” è proprio un libro coraggioso e doveroso, scritto da Laura Raicovich, arrivato da poco in libreria (pagine 192, Nomos Edizioni,2022, euro 19,90). L’autrice si misura sull’identità dei musei nella contemporaneità, tra ingerenze politiche, contraddizioni etiche e missione culturale.  Il volume inaugura la nuova collana Museologia del Presente, a cura di Anna Chiara Cimoli. Le istituzioni culturali dei nostri tempi (musei, fondazioni, centri culturali, ecc.) sono sempre più spesso nel mirino della contestazione: i manifestanti si sono mobilitati contro alcune fonti di finanziamento e contro alcune nomine nei consigli di amministrazione; basti pensare che persino Warren Kanders, produttore di gas lacrimogeni, è stato costretto a dimettersi dal board del Whitney Museum,  o anche a manifestazioni inscenate contro specifiche mostre o opere d’arte.

Parola di Laura Raicovich. Direttrice museale e attivista, la Raicovich racconta perché i musei sono sempre di più al centro di discorsi politici e in quale modo si potrebbe ripensarne la funzione. Ex-direttrice del Queens Museum di New York, fece scalpore che durante il suo mandato la Raicovich si distinse per una serie di iniziative inusuali, nel tentativo di rendere l’istituzione museale che dirigeva più vicina alla comunità locale; tutto ciò non fu facile per lei per via delle  sue posizioni a sostegno  di immigrati e dei ceti più svantaggiati, in contrasto  al governo Trump,  sicchè le sue iniziative dettero origine a polemiche, proteste e  ad una marea di  critiche. Le proteste hanno toccato istituzioni di tutto il mondo, dal Guggenheim di Abu Dhabi all’Akron Art Museum; e le aspettative di un impegno attivo per il cambiamento della società da parte dei musei sono cresciute. Le proteste non sono solo del pubblico, ma anche degli artisti.  Dice la Raicovic: “Per quanto ami i musei e abbia dedicato a loro la mia carriera, essi sono innegabilmente luoghi di egemonia culturale e specchio dei mali della società, dai crescenti divari di ricchezza, e altri eredità coloniali, all’esclusione di comunità storicamente emarginate. I musei e gli spazi culturali fanno parte di quel sistema che i movimenti di protesta vorrebbero smantellare. Sono convinta che decostruire e ricostruire ex-novo i musei non solo possa renderli migliori per un pubblico più ampio possibile, ma anche mappare modi per trasformare la società nel suo complesso”. La sua critica analizza bene i dibattiti contemporanei sulla questione e i suoi nodi più inquietanti, partendo nel racconto dalla nascita dei musei d’arte come istituzioni coloniali e centri avvolti da una “ideologia della neutralità”. Dal libro sappiamo che la Nan Goldin, per esempio ha fondato un’organizzazione militante, PAIN (Prescription Addiction Intervention Now), dopo essersi disintossicata dall’OxyContin (un oppioide antidolorifico). La missione dichiarata del gruppo PAIN è rendere note al pubblico le connessioni tra la produzione di farmaci e la famiglia Sackler, un nome legato ai musei d’arte di tutto il mondo: “Protestiamo contro i musei che permettono al nome Sackler di macchiare le sale e di deturparne gli spazi, celebrando la famiglia che ha guadagnato miliardi sulla pelle di centinaia di migliaia di persone”, ha dichiarato Nan Goldin. Nel 2019 la National Portrait Gallery di Londra rifiuta una donazione di 1,3 milioni di dollari da parte del Sackler Trust: Nan Goldin era in trattative con la pinacoteca per organizzare una retrospettiva sul suo lavoro.  E la Tate, il Metropolitan e il Guggenheim hanno perseguito questa linea. Rinunciare alle donazioni di questo o quel mecenate significa ammettere che il denaro non è neutro. Con l’esperienza in prima persona la Raicovich accompagna il lettore su queste strade impervie e distorte che talvolta veicolano nel mondo dell’arte, e il quadro certo non è dei migliori, dove tutto è avvolto da uno straziante pessimismo per via delle contraddizioni e dei meccanismi non sempre apparenti che lo reggono.

 

Carlo Franza

 

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