“Quando fotografa i marmi di Michelangelo, Aurelio ‘diventa’ Michelangelo e s’addentra nei percorsi di pensiero e di spirito di lui”, afferma Antonio Natali, curatore della mostra “La Pietà di Michelangelo. Lo sguardo di Aurelio Amendola fra naturalismo e astrazione” visitabile dal pubblico fino al 9 gennaio 2023 nel Museo dell’Opera del Duomo a Firenze in occasione dei 726 anni dalla Fondazione dell’Opera di Santa Maria del Fiore (8 settembre 1296).

Terminato il restauro della Pietà di Michelangelo detta Pietà Bandini, nel settembre 2021, conservata nel Museo dell’Opera del Duomo a Firenze, l’Opera di Santa Maria del Fiore ha commissionato una campagna fotografica del gruppo scultoreo ad Aurelio Amendola, grande interprete dell’opera di Michelangelo e autore di fama mondiale. Il frutto di questo lavoro, è ora presentato nella sala del Paradiso del Museo, dove per la prima volta viene realizzata un’esposizione. In mostra trentadue immagini fotografiche in bianco e nero, stampate in grande formato (70 x 100 cm e 100 x 100).  Una sequenza d’immagini che da un lato tocca i sensi di chiunque osservi le sue foto, dall’altro, aiuta un occhio critico a scoprire dettagli inediti.

Amendola torna ad interpretare la Pietà Bandini dopo averla fotografata nel 1997 e terminato il delicato restauro, commissionato e diretto dall’Opera di Santa Maria del Fiore e finanziato dalla Fondazione non profit Friends of Florence, che ha saputo restituire la bellezza a uno dei capolavori più intensi e tormentati del grande artista.

“La scultura è tutto per me, lavorando con le luci cerco di renderla viva, farla parlare. Questo è sempre stato il mio intento”, racconta Amendola, che per ritrarre la Pietà Bandini ha scelto di non utilizzare delle luci diffuse, perché scrive Natali: “Non c’è lume che possa avvolgere omogeneo una materia tanto tormentata. E Aurelio non solo seconda l’invenzione originaria ma ulteriormente rafforza, anzi, la luce e per converso viepiù abbuia gli scuri. E le ombre sbattono con profili netti sulle superfici, chiare fino al candore. E il cuore del riguardante ne trasale”.

“Amendola – prosegue Natali – partendo dall’intero, avanza con l’obiettivo fotografico fino a incunearsi nei vuoti, nei sottosquadri, nei meandri d’una materia inquieta. Vi si muove quasi fosse – il suo – un esame autoptico; e, come in una dissezione, scopre e mette a nudo piaghe anche ripulsive sfuggite all’occhio, com’è quell’immagine ripresa di lato, da destra, che denuda la sezione verticale della coscia, mozzata di netto, con l’impudica rivelazione d’un foro quadrato per il perno d’un trapianto dell’arto. Foto d’impatto forte; anche perché in una sola veduta Aurelio poeticamente esibisce tutta la gamma degli stadi di lavorazione del marmo: dall’appena sbozzato al compiuto, dall’ancóra informe gamba di Maria cioè, – rugosa e scabra come una scultura parigina d’inizio Novecento (di Modigliani o Brâncuși o di Henri Gaudier-Brzeska) –, al torso di Cristo, polito e fulgente come una pietra a lungo lucidata. Aurelio è sicuramente affascinato dalla capacità di Michelangelo d’essere soavemente forbito e nel contempo, però, potente”.

Amendola ha fotografato, nel corso della sua lunga carriera, tutte le opere scultoree del grande artista rinascimentale. A partire dal primo libro del 1994, “Un occhio su Michelangelo. Le tombe dei Medici nella Sagrestia Nuova di S. Lorenzo a Firenze dopo il restauro, che gli valse il premio Premio Oscar Goldoni per il miglior libro fotografico dell’anno, alle celebri immagini del David fotografato, come mai prima di allora, nella sua piena sensualità. Con il David, Amendola “inaugura” un nuovo modo di raccontare Michelangelo che diventa un punto di riferimento per tutte le sue immagini successive.

Oltre a Michelangelo, Amendola si è dedicato alla scultura antica che dichiara “essere la sua passione”. Passione nata fotografando il Pulpito di Sant’Andrea di Giovanni Pisano a Pistoia nel 1969. Amendola è anche un grande interprete del contemporaneo, capace di entrare in empatia con gli artisti, assorbendone stile e intensità. Lo testimoniano i ritratti di alcuni dei più grandi artisti contemporanei e del Novecento: da Alberto Burri a Marino Marini, con cui ha avuto un rapporto speciale, Mario Ceroli, Giorgio De Chirico, Nicola De Maria, Jannis Kounellis, Roy Lichtenstein, Piero Manzù, Mimmo Paladino, Claudio Parmiggiani, Michelangelo Pistoletto, Giò Pomodoro, Gianni Ruffi, Mario Schifano, Giuliano Vangi, Emilio Vedova, per citarne solo alcuni. Celebri i ritratti di Andy Warhol, tra cui quelli realizzati a New York poco prima della sua morte, probabilmente gli ultimi che lo ritraggono. La mostra è accompagnata da un catalogo realizzato da La Mandragora casa editrice.

Carlo Franza

 

 

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