Proprio di questi tempi, che la letteratura, quella che intendo io, e che discende dalla grande letteratura del Novecento (Maria Bellonci, Paola Masino, Elsa Morante, Alba de Céspedes, Gianna Manzini, Lalla Romano, Natalia Ginzburg, Carla Cerati, Fausta Cialente, e altre ancora) è cosa rara e direi introvabile nel panorama stantio e poveristico, di idee e di scrittura, che ci ruota attorno, balza alla ribalta un libro di prim’ordine e di grande qualità, dove racconto e scrittura, storia e contemporaneità, vita e tensione esistenziale, sogno  e sentimento,  delusioni e  visioni, svelano per questa stagione narrativa italiana anche un romanzo carico di una  raggiunta maturità stilistica grazie a  straordinaria intensità libertaria che lo nutre. ll libro è di Elena Basile, già ambasciatrice in Svezia e in Belgio, e ha per titolo “Un insolito trio”, La Lepre edizioni, pp.210, Roma, Euro 18,00. Questo suo libro, il quinto, è sì gremito di personaggi, ben tre principali, ma maggiormente di idee, di considerazioni, di motivi interiori. E se ritorna una velata forma di autobiografismo, non manca una critica sottile e pungente della burocrazia ministeriale, che si amalgama con il racconto delle vicende di questi tre sensibili e irresistibili personaggi, veri, fin troppo veri. “Mi ha divertito ispirarmi a personaggi che ho osservato nel corso della mia lunga carriera per raccontare un’amicizia rara e sentimentale”, – spiega Basile parlando dei suoi protagonisti-, che “sono accomunati da uno stesso rifiuto esistenziale per alcune regole ma anche per un’estraneità che sentono per alcuni aspetti della società contemporanea che, come sappiamo, alle volte può essere banale, venale, un po’ conformista”. Due uomini e una donna, tre generazioni a confronto, tre diplomatici molto particolari, che per motivi diversi fanno fatica a integrarsi con il mondo chiuso del Ministero. I tre si incontrano e danno vita a un’amicizia simile ad una musica struggente e consolatoria, quasi fossero gli elementi complementari di una sonata di Beethoven.

Serafini, ambasciatore sessantenne, vede troncata la sua carriera in Africa per aver ascoltato la propria coscienza: si è accorto della corruzione che affligge la Cooperazione allo sviluppo e vi si è opposto. Giulia, una giovane donna entrata alla Farnesina quasi casualmente, incapace di vivere adeguandosi al mondo circostante, timida e speciale, suscita nel non più giovane ambasciatore un affetto difficile da definire. Giancarlo, un quarantenne omosessuale, un poeta, trova un punto di riferimento nell’ambasciatore, con cui ha lavorato in Africa, e nutre un sentimento astratto e doloroso per Giulia, che per lui rappresenta il miraggio di una vita che non potrà mai appartenergli.

Pur nello sperimentalismo del romanzo è chiaro che la Basile non abbandona i suoi programmi di interezza e   di verità; di cui lascia a Giulia ogni suggerimento e tentazione umana, tanto da essere personaggio che non si lascerà dimenticare facilmente. Ma anche il protagonista, l’Ambasciatore Serafini, trae la sua drammatica vicenda memoriale da un oscuro passato.  Ciò che dà valore e qualità insolita è la sensazione, sempre meglio avvertita anche verso la conclusione, di un sottile proposito cui si era affidata la scrittrice e cioè restituire all’arte della scrittura, della parola, la misura umana, e radicarla al miracolo della nostra esistenza. Vivi e brillanti anche i messaggi contenuti nelle pagine del romanzo, che oltre i ritratti bellissimi dei tre protagonisti, tendono ad aprirsi su altri orizzonti. Scandagliare la propria esistenza, vederla in tutta la dimensione più occulta, e servirsi di questa analisi per un’intesa umana.  La ricerca della verità è, dunque, per la Basile, un assillo, e difatti i personaggi che vengono alla ribalta in quest’insolito trio, hanno tutti un rapporto con gli “altri” basato su inestricabili ragioni intime, che devono essere riscoperte, messe a nudo. Così il rapporto insolito tra Giancarlo e Giulia considerato un amore virtuale giunge a un compimento in gran parte mancato, dove non basta né eros né altro elemento sentimentale.  Persino il mondo chiuso del Ministero degli Esteri appare come un sipario aperto e finalmente accessibile ai più, al di là delle storie e della contemporaneità.   Un romanzo totale, specchio del nostro tempo, segnato da una prosa concertata e virtuosa, giovata da una maggiore fluidità, col respiro di una sintassi più scabra e di un dialogo privo di ridondanze. Ma l’urto fra la capacità e l’incapacità di vivere, la tensione morale e psicologica, l’intrigo erotico che fa capolino, per la Basile, scrittrice amante delle sensazioni sottili, capace di cogliere come pochi incertezze  e ambiguità della vita, lasciano svelare la qualità indiscutibile del romanzo, quel compiuto disegno mentale e stilistico che sta a garanzia di un’esperienza personale.

L’Ambasciatrice  Elena Basile è nata a Napoli. Ha vissuto per motivi di lavoro in Madagascar, Canada, Ungheria e Portogallo. È stata Ambasciatore di Italia in Svezia (dal 2013 al 2017) e in Belgio (dal 2017 al 2021). Tra i suoi libri “Una vita altrove” (2014) finalista al premio Roma; la raccolta di racconti “Miraggi” (2018) tradotta in Belgio; il romanzo “In famiglia” (2022)  ha ricevuto il Premium International Florence Seven Stars  a Firenze per la narrativa, da  una giuria presieduta da Carlo Franza.

Carlo Franza

 

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