Un saggio visivo sull’opera di Mario De Biasi (1923-2013), fotografo versatile, definito da Enzo Biagi come

“l’uomo che poteva fotografare tutto”. E in questo tutto ha prediletto il capoluogo lombardo, dove si trasferì a 15 anni. Così a cento anni dalla sua nascita, il Museo Diocesano di Milano gli dedica – dal 14 novembre 2023 al 21 gennaio 2024 – un’Edizione Straordinaria che raccoglie una serie di scatti iconici dedicati alla sua città d’adozione.

La mostra “MARIO DE BIASI E MILANO. Edizione Straordinaria”, organizzata e prodotta da Mondadori Portfolio in collaborazione con il Museo Diocesano di Milano e curata da Maria Vittoria Baravelli con Silvia De Biasi, presenta 70 fotografie vintage, provini e scatti inediti di uno degli autori più apprezzati del secondo Novecento italiano, che per trent’anni documentò la storia del nostro Paese attraverso le pagine del periodico di Arnoldo Mondadori Editore, “Epoca”.
Il percorso espositivo – costituito da opere provenienti dall’Archivio Mondadori e dall’Archivio De Biasi – consentirà al pubblico di conoscere il linguaggio personale che il fotografo adattò a contesti molto diversi tra loro. E, in particolare, a Milano. “Il Duomo, la città, la gente e la moda, senza ordine o punteggiatura”, racconta Maria Vittoria Baravelli, “Milano è quinta e campo base, luogo di una danza infinita da cui De Biasi parte per tornare sempre, dedito a immortalare dalla Galleria ai Navigli, alla periferia, una città che negli anni Cinquanta e Sessanta si fa specchio di quell’Italia che diventa famosa in tutto il mondo“.

Uno sguardo lucido ed evocativo al tempo stesso, quello di De Biasi, capace di raccontare con immediatezza e originalità un momento controverso della storia d’Italia. Nelle trame ordinate dei suoi scatti si leggono infatti i cambiamenti storici e culturali del Paese, che negli anni ’50 e ’60 andava assestandosi su una rinnovata identità culturale. Rinascita che in Milano trovava sintesi e negli scatti di De Biasi eloquente espressione.
L’esposizione si snoda attraversando idealmente la città, dal suo centro nevralgico fino alle periferie. Ci sono i turisti che s’affacciano dal tetto del Duomo e che affollano i bar della Galleria Vittorio Emanuele II, ma anche i pendolari alla stazione ferroviaria di Porta Romana. E poi San Babila, l’Arco della Pace, scorci di una Milano oggi impossibile dove le chiatte risalgono i

Navigli e tutti si meravigliano del mondo che cambia. L’approccio autoriale di De Biasi si arricchisce dell’acume giornalistico nel 1953, quando viene assunto come fotoreporter da Epoca. Rivista iconica del tempo, ideata sul modello dei periodici statunitensi illustrati, di cui facevano parte, tra gli altri, Aldo Palazzeschi e Cesare Zavattini.

In una pubblicazione che si distingueva per la raffinata impostazione grafica, secondo il direttore Enzo Biagi, De Biasi era l’unico in grado di garantire sempre al giornale “la foto giusta”, anche se per guadagnarla doveva rischiare la vita tra pallottole e schegge di granata, nei tanti servizi bellici della sua carriera. Oppure confrontarsi con i grandi personaggi dell’epoca tra intellettuali, attrici e artisti.
Totalmente inediti i provini di Moira Orfei acrobata e i frame che precedono e seguono il celebre scatto Gli Italiani si voltano, realizzato nel 1954 per il settimanale di fotoromanzi Bolero Film, che Germano Celant scelse per aprire la mostra “Metamorfosi dell’Italia”, organizzata nel 1994 al Guggenheim di New York. L’immagine immortala un gruppo di uomini che osservano Moira Orfei, inquadrata di spalle e vestita di bianco mentre passeggia per il centro di Milano.
La mostra si chiude con una sezione di fotografie che De Biasi realizzò nei suoi viaggi extra europei: dall’India alla Rivoluzione di Budapest, dal Giappone alla Siberia, fino ad arrivare all’allunaggio con i celebri scatti a Neil Amstrong.

Mario De Biasi (Sois, Belluno 1923 – Milano 2013) si trasferisce a Milano a 15 anni dove diventa radiotecnico. Durante l’occupazione tedesca viene inviato a lavorare a Norimberga, dove trova per caso un manuale di fotografia e impara a fotografare da autodidatta. Tornato in Italia nel 1946 lavora presso la Magneti Marelli di Sesto San Giovanni e nel 1953 è assunto come fotoreporter dal periodico di Arnoldo Mondadori “Epoca”, con cui lavora fino al 1983. Durante questo trentennio realizza più di centotrenta copertine e indimenticabili reportage dall’Italia e da tutto il mondo: in Sud America, a Hong Kong, a Singapore, sull’Etna, in Africa. Rimangono celebri alcuni servizi come quello in Ungheria durante la rivolta del 1956 e quello della spedizione con Walter Bonatti in Siberia nel 1964. È molto apprezzato anche per i suoi ritratti “in maniche di camicia” ai protagonisti del tempo quali, solo per citarne alcuni,  Aristotele Onassis, Ray Sugar Robinson, Andy Warhol, Marlene Dietrich, Brigitte Bardot.
Pubblica oltre cento libri e riceve numerosi riconoscimenti internazionali.
Nel 1982 riceve il premio Saint Vincent di giornalismo e nel 2003 è insignito dalla FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) del titolo di “Maestro della fotografia italiana”. Il Comune di Milano riconosce la sua attività conferendogli l’Ambrogino d’oro nel 2006 e, dopo la sua scomparsa nel 2013, iscrivendone il nome nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano in una lapide dedicata ai “cittadini illustri, benemeriti, distinti nella storia patria”.

Carlo Franza 

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