Un volume monografico dal titolo “Piero Persicalli. Nel segno dell’Acquario” (A cura di Chiara Francina, pp.384, Scalpendi editore, 2024) dà finalmente al lettore la possibilità di scoprire la produzione artistica di Piero Persicalli (1886-1997), artista pressocché sconosciuto la cui vita venne segnata dall’esodo (tra i molti luoghi: Zara, Venezia, Monaco, Vienna, Como, la Brianza, Roma, Trieste) e da un’estesa rete familiare e sociale, la quale modellò il mondo interiore dell’artista e la sua pittura, costantemente sospesa tra la rappresentazione della realtà e la trasfigurazione simbolica universale di idee e sentimenti. 

In grado di maneggiare diversi media e stili (matita, carboncino, sanguigna, china, pittura ad olio, disegnatore per tessuto), influenzato dai fenomeni dilaganti del giapponismo, dalla musica, dall’ideismo e dall’astrattismo, Persicalli ebbe come centri d’interesse costanti, ma non certo unici, il mondo marino e quello popolare, spessissimo intersecantesi fra loro. Non fa mistero segnalare la difficoltà di ripercorrere l’itinerario sia biografico che artistico del pittore, che fu allievo di Hugo von Habermann e di Heinrich Knirr, entrambi legati al movimento secessionista di Monaco, prima di stabilirsi, inizialmente, per qualche anno, a Vienna, all’epoca centro nevralgico del mondo culturale europeo e, quindi, mondiale; ed in seguito, in Italia, segnatamente a Roma. Carlo Carrà scrive che Persicalli “appartiene a quella categoria di artisti nostri che hanno maturato la loro arte all’estero”. Sirene, tritoni e altre creature del mare, furono tra i soggetti più amati dei simbolisti nordici,  sia in area inglese dove si vedano ad esempio le numerose sirene di John William Waterhouse; sia in area tedesca, dove le invenzioni di Max Kliger e Arnold Böcklin impressionarono notevolmente i giovani artisti che si formarono a Monaco; ma anche in area scandinava, basti guardare alle sirene di Edvard Munch di cui Piero Persicalli  ha sicuramente visto alcuni lavori presso il Die Moderne Kunsthandlung di Monaco.

La tecnica divisionista impiegata nella composizione di numerose opere, il gusto per le morfologie che miravano all’abbellimento (floreali e, soprattutto, ittiche) che talvolta si spingevano anche verso l’astrazione, con una sensibilità visionaria allusiva al lato occulto della vita, e una sorta di attenzione verso l’orfismo; pittura anche distillata dal fertile humus simbolista, che trae linfa dagli anni fecondi della formazione mitteleuropea. Al giovane artista Persicalli piaceva dar colore alle cose, un colore spirituale, vitalizzante, ritmico, effusivo; e calare nelle sue opere quella drammaticità esistenziale, quel senso di svicolamento, specchio di un tempo mobile ed inquieto, forse, di un suo più intimo sentire. Si osservino, ad esempio,  in una composizione ittico-equorea le suggestioni formali della contemporanea poetica futurista, spinta pure verso il libero gioco delle compenetrazioni morfo-cromatiche; o anche  una coinvolgente fantasia marina con conchiglia, una sorta di caduceo orfico con intriganti rimandi occultistici; eppoi  certe ideazioni visionarie con  figure umane intrise di inquietudine che paiono come lievitare  e volgersi in alto, spinte dal desiderio di affrancarsi dal grave peso tellurico. Nel libro catalogo sono accolte tutte le opere schedate, attraverso temi e poetiche, i nudi all’Accademia di Monaco, poi Monaco e Vienna tra giapponismo e jugendstil, i paesaggi dalmati -a questi guarderà anche Music-, Sdrelaz e la casa del pittore, gente della Dalmazia, l’esodo a Como e il ritiro in Brianza, il postcubismo, la grafica pubblicitaria, i disegni e i disegni per tessuti.

Col passare degli anni, lentamente, di Piero Persicalli si sono perse le tracce, poco si sa della sua età più matura; nulla, sembrerebbe, della sua vecchiaia, mentre si spegne il 3 aprile 1977 a Cantù in Brianza, con “la visione della Dalmazia negli occhi”.

Carlo Franza

 

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