“La stanza delle Marche” con Carlo Cecchi, Chiara Diamantini, Bruno Mangiaterra, Rocco Natale. La mostra al Circolo Esteri del Ministero Affari Esteri di Roma per il Progetto “Storie”
“STORIE” è un progetto appositamente ideato per il Circolo Esteri del Ministero Affari Esteri di Roma nel quadro della Collezione Farnesina di Arte Contemporanea. Esso vive nobilmente sulle arti che riprogrammano il mondo, si campiona ad essere uno spettacolare archivio decentralizzato ove le diverse discipline si nutrono di arte-mondo, mira a rappresentare come si abita la cultura globale, ovvero l’altramodernità, che altro non è che una sorta di costellazione, una specie di arcipelago di singoli mondi e singoli artisti le cui isole interconnesse non costituiscono un continente unico di pensiero, ma lo specchio di un’arte postproduttiva e frontaliera, mobile,
ipermoderna, ipertesa, ipercolta, mente e cuore, ma anche progetto e destino della comunicazione estetica. E’ con questo progetto, ideato e diretto dall’illustre Storico dell’Arte Moderna e Contemporanea Prof. Carlo Franza, intellettuale di piano internazionale, che si vuole indicare e sorreggere un’Europa Creativa Festival e, dunque, protagonisti e bandiere, bandendo ogni culto del transitorio per porgere a tutti il culto dell’eterno. Il terzo millennio che fa vivere i processi creativi nel clima di abitare stili e forme storicizzate, perchè il futuro è ora, fra rappresentazioni e interpretazioni, ci porta a cogliere il nuovo destino della bellezza. Con l’arte vogliamo aprire finestre sul mondo, con l’arte vogliamo aprire stagioni eroiche, con l’arte vogliamo inaugurare una nuova civiltà. Presenti all’inaugurazione l’Ambasciatore Umberto Vattani Presidente della Venice International University e l’Ambasciatore Gaetano Cortese Curatore della Collana sulle Ambasciate Italiane del mondo per l’Editore C. Colombo. Con “STORIE” (2024-2027) si porgono dodici mostre personali di dodici artisti contemporanei, taluni di chiara fama. Questa mostra dal titolo “Carlo Cecchi, Chiara Diamantini, Bruno Mangiaterra, Rocco Natale. La stanza delle Marche” è la quarta del nuovo percorso, ed è già una novità in quanto si veicolano a Roma nomi dell’arte contemporanea di significativo rilievo, che evidenziano e mettono in luce gli svolgimenti più intriganti del fare arte nel terzo millennio. L’esposizione curata dall’illustre Storico dell’Arte Contemporanea di fama internazionale, Prof. Carlo Franza, che firma anche il testo in catalogo dal titolo “Carlo Cecchi, Chiara Diamantini, Bruno Mangiaterra, Rocco Natale. La stanza delle Marche”, riunisce una serie di opere degli artisti Carlo Cecchi, Chiara Diamantini, Bruno Mangiaterra, Rocco Natale, già apparsi agli occhi della critica italiana e internazionale come figure delle più interessanti e propositive dell’arte contemporanea, ed ancor oggi nella memoria di tutti ricordati come chiari e significanti interpreti.
E’ scritto nel testo in catalogo: “Dedichiamo questa mostra del progetto “Storie” per il Circolo degli Esteri di Roma, a un manipolo di artisti di chiara fama che vanno sotto il nome di “Scuola Marchigiana”, qui riuniti per due esemplari motivi; anzitutto perchè operano in una regione quale le Marche, e in secondo luogo perché la loro storia si è andata costruendo via via con una partenza comune che è stata l’Accademia di Belle Arti di Urbino. “Una scuola” è un gruppo di artisti che seguono lo stesso stile o almeno una poetica di confine, hanno condiviso gli stessi insegnanti (tra i vari docenti figurano Concetto Pozzati, Pierpaolo Calzolari, Alberto Boatto, Renato Bruscaglia, Rodolfo Aricò, Massimo Dolcini, Roberto Sanesi, Mario Ceroli) e hanno gli stessi obiettivi. Tutto parte dall’Accademia di Urbino costituita nel 1967, dapprima guidata da Bruscaglia e poi da Concetto Pozzati che, nel 1972, asseriva: “Il nostro comune sforzo è di stimolare e costruire, di volta in volta uno spazio interdisciplinare […] in modo da contribuire alla formazione dell’artista inteso come tecnico-professionista e come ‘intellettuale’”. Una formidabile occasione di ampio respiro sul fronte del rinnovamento formativo nelle discipline dell’arte. Non è la prima né l’ultima delle “scuole” italiane. Intanto la Scuola romana un eterogeneo gruppo di pittori attivi a Roma tra gli anni Venti e gli anni Quaranta del Novecento. L’espressione, in francese “jeune École de
Rome”, fu coniata dal critico George Waldemar nella presentazione del catalogo di una mostra tenuta nel 1933 dai pittori Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi, Emanuele Cavalli e Ezio alla Galerie Bonjean di Parigi. Successivamente, la critica abbraccerà questa definizione allargandola ad altri artisti attivi nella Capitale italiana nello stesso periodo, benché afferenti a stili e obiettivi artistici assai diversi tra loro, come quelli della cosiddetta “Scuola di Via Cavour”. La Nuova Scuola Romana, ovvero il “gruppo-non gruppo” di San Lorenzo, composto da Ceccobelli, Dessì, Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella e Tirelli, rappresenta per ruolo e importanza, accanto all’Arte Povera e alla Transvanguardia, la terza protagonista dell’arte contemporanea italiana. Da quel lontano 1984, anno in cui il collega Achille Bonito Oliva curò “Atelier”, la grande mostra che “coglieva” questi artisti nei propri studi, situati dalla fine degli anni ’70 nell’ormai storico Ex Pastificio Cerere di Via degli Ausoni, nessun’altra iniziativa espositiva è stata dedicata da Roma a questa compagine di artisti. La Transavanguardia italiana (o anche “Arte Cifra”) è un’esperienza artistica sviluppatasi in Italia tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta. Nasce da un’intuizione del collega critico Achille Bonito Oliva che, nell’ottobre 1979, nel saggio La Transavanguardia Italiana pubblicato su Flash Art, seleziona accuratamente sette artisti italiani emergenti, Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Mimmo Paladino, Nicola De Maria, Marco Bagnoli e Remo Salvadori; le loro ricerche sono paragonabili per il modo in cui concepiscono l’opera d’arte e per l’uso di tecniche prevalentemente pittoriche, fattore che li differenzia dalle correnti artistiche principali di questi anni. In Italia sono nate diverse esperienze artistiche la cui struttura ricalca quella Scuola detta Transavanguardia, come i “Nuovi Nuovi” di Renato Barilli e il “Magico Primario” di Flavio Caroli. Un esempio brillante è la costituzione in Sicilia del “Movimento Culturale Vitaliano Brancati”; il gruppo è stato formato da giovani intellettuali che ruotano attorno al “Giornale di Scicli” e si distingue per il desiderio di riscoprire e valorizzare il territorio di provenienza, di preservare, apprezzare e tramandare la cultura, di partecipare in modo attivo e diretto alla creazione di una reale ed apprezzabile identità culturale e storica. Il gruppo detto pure “Scuola di Scicli” raccoglie principalmente pittori e scultori ed ha avuto come primo presidente il pittore Piero Guccione. Il “Gruppo di Scicli” presentò anni fa presso la Galleria Marieschi di Monza le opere di Candiano, Alvarez, Caruso, Guccione, Polizzi e Sarnari, poi l’avvicinamento al Gruppo di giovani artisti come Giuseppe Puglisi, Pietro Zuccaro, Sandro Bracchitta e Giuseppe Colombo. E quindi il gruppo marchigiano composto da quattro artisti che io considero
“scuola” in quanto provenienti dall’Accademia di Urbino, e mette ancor di più in luce una radice estetica che batte forte sul versante concettuale. In mostra figurano una serie di opere per ognuno di essi che ne rappresentano lavoro, progettazione, idea, pensiero, filosofia, intrecci di arti tali da portarsi verso scandagli performativi. Il lavoro di Carlo Cecchi “perlustra e scruta”, per dirla con un famoso verso di Caproni, l’intreccio tra paesaggio interiore e paesaggio esteriore, il confine fra soggetto e oggetto, fra tempo e perennità, orizzontalità e verticalità. Con la poesia che gli vive dentro eleva all’universalità e alla perennità le sensazioni contingenti, gli sfuggenti stati d’animo, portando a evidenza l’originario strato di senso delle cose del mondo della vita. Ecco che Carlo Cecchi è riuscito come per una nostalgica peregrinatio nel tempo e nello spazio, portato a evidenza il senso universalmente esperibile dell’incolore quotidianità, delle insensate abitudini, del grigiore della noia, dell’angosciante oscurità. Non si è sottratto alla vera vita, al reale che diventa una sorta di campionario del mondo, ma ci ha convissuto, pur ponendosi in una prospettiva di osservazione particolare, quasi di tre quarti. Svapora in lui la transavanguardia, ormai perduta nei lontani anni Ottanta, per farsi o meglio trasmutarsi in nobile accensione dell’immagine collegata al mistero dell’esistenza, per cui lo straniamento diventa un oltre fra tensione e torsione. Un lavoro il suo ormai fattosi poema, dove l’immagine volge verso l’astrazione nel doppio registro dei contenuti e dell’espressività, un grumo di materia che apre a gridi e a parole, a poesie di vita ed espressione, alla storia e al quotidiano, a una storia e a un racconto ormai ricerca, che non poggia nella decifrazione ma nell’esperienziale certezza che il mistero è al fondo del mondo della vita. L’esperienza artistica di Chiara Diamantini mostra la vibrante consapevolezza di essersi incamminata da sempre nel conquistare la più integrale libertà. Diari, racconti, storie, tutto trapassa in una oggettivazione segnica e spaziale, ancor più pensante per la riflessione sul concetto di spazio che la conduce ad un’interpretazione autonoma e originale. Anche per lei, avendo attraversato i nobili capitoli del segno e del gesto e poi della poesia visiva, della poesia visuale, vive la pulsazione delle neoavanguardie, battito che l’ha portata con un carattere ibrido e multilinguistico, a situarsi in una suggestiva “terra di mezzo” fra la scrittura e l’immagine, fra le arti visive e la poesia. L’arte veniva intesa e problematizzata, più in generale, come parte del complesso sistema della comunicazione. I confini cronologici del suo lavoro si estendono in modo altalenante oltre gli anni del secondo novecento, sino alla stretta contemporaneità; epoca nella quale si assiste però ad un cambiamento profondo delle tipologie compositive, dei supporti e dei media impiegati, nonché del rapporto tra artista, opera e società, nel quadro ormai profondamente mutato della postmodernità. L’itinerario artistico, di impianto concettuale fin dagli anni Settanta del Novecento, che ha caratterizzato un artista come Bruno Mangiaterra, ha trovato legittimazione in un linguaggio pittorico e un assemblaggio poverista affidato alla poesia e al pensiero. Linguaggio profondo, radicale ed elementare insieme, iniziale, armonioso, che via via è sembrato vibrare infinitamente in tutta la sua estensione. Diventata arte, il suo rapporto con la filosofia è apparso ossessivo, e se egli stesso difende in forme diverse la sua idea, una filosofia di rimando procede attingendo al primordio della natura. Tutto diventa corpo, materia, aria, luce, movimento, filosofia delle origini, nostalgia dell’unità. Teleri e installazioni sono fenomeni mirabili e unici, e nell’afferrare l’idea Bruno Mangiaterra sente le palpitazioni dello spirito tra dissidio e inseparabilità, che ritmano la cultura occidentale fino all’epoca attuale. La sua arte è una metafora continua che porta alla luce l’enigmatico, il brillare del bello sorprendente e misterioso. L’artista con la sua tecnica costruttiva che appartiene alla più alta espressione dell’umanesimo, insegue il partito preso delle cose, il tempo favoloso della scoperta del mondo -l’infanzia del mondo- che attinge la sua chiarità al silenzio nudo del pensiero, e si dà corpo in un mormorio che si fa respiro, ritmo e poi silenzio di nuovo. Rocco Natale affonda da sempre il suo lavoro artistico attentamente versato in un’area che è quella di un’arte povera, lasciando così scoprire consonanza fra la dim
ora del tempo e l’alone del tempo. Anche in lui, poesia e filosofia, paesaggio e storia, si susseguono a un universo arcaico, primordiale, allo stato selvaggio. Egli scopre e sviluppa nel suo fare un mondo in cui tutto è fremito e mormorio indistinto, materia agglomerata che si forma e conforma, incanto della terra, stupore dell’aria. Un vedere e un sentire che sale dal fondo senza fondo della vita. Rocco Natale muove il suo lavoro con materiali diversi, eppure semplici e naturali, esplorando lo spazio informe che il moderno disincanto non ha affatto dissolto. Pur lavorando a Urbino, rimangono alte le accensioni sulle sue radici lucane, innervate in una dimensione fra spirituale e poetica, radicate su palafitte abitate da presenze misteriose, pietre, piante, stelle, potenze invisibili; installazioni e sculture che vivono realtà primigenie, dove la forza e il colore della materia ricordano la nascita e il battito d’ali nella quiete dell’alba e del tramonto, e più ancora una storia e una poesia delle origini. Un racconto incantato l’intera sua indagine sul mondo, attraversato da un fuoco interiore, dove invenzione, talento e abilità catturano la natura del vivere, sia memoriale sia magica.
Biografie degli artisti
Carlo Cecchi è nato a Jesi nel 1949, vive e lavora nelle Marche e a Roma. Docente di Pittura negli Istituti d’arte e nei Licei artistici, si diploma all’Istituto d’arte di Ancona con il massimo dei voti. Conosce lo scultore Edgardo Mannucci e il critico Vittorio Rubiu, che lo seguirà negli anni. Di indole indipendente, insofferente agli schemi e dallo spiccato senso di ironia, Cecchi ama la poesia e la musica, suona la batteria e negli anni Sessanta fonda un gruppo rock. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Urbino dove ha come docenti Pierpaolo Calzolari, Mario Ceroli, Alberto Boatto, Tommaso Trini e Concetto Pozzati, suo maestro prediletto con cui stringe una lunga amicizia. Grazie a queste importanti figure dell’arte italiana, Cecchi impara presto diverse tecniche espressive – scultura, mosaico, scenografia – e se nelle sue prime mostre mantiene una cifra concettuale, via via trova nella pittura e nel disegno il linguaggio più proprio. Espone in gallerie e musei anche con installazioni site-specific, interviene in luoghi non deputati all’arte e collabora con poeti e letterati. Ama molto scrivere, infatti e realizza numerosi libri d’artista. Dal 1974 espone in gallerie private e in spazi pubblici nazionali e internazionali – Biennale di Venezia, Biennale di Zagabria, PAC di Milano, Pinacoteca Civica di Jesi, Pinacoteca Civica di Ancona, Biblioteca Angelica di Roma, – e le sue opere sono presenti in importanti in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero. Nel 2020 è l’illustre Storico dell’Arte Contemporanea Prof. Carlo Franza ad invitarlo nel Progetto “Scenari” con una mostra personale dal titolo “Tra biografia e pittura” al Plus Florence di Firenze. Nel 2022 una sua mostra dal titolo “Disordini” si tiene alla Fondazione Marco Besso di Roma presentata da Michele Ainis e ancora al Plus Florence di Firenze la personale dal titolo “Ritorni dell’eco” presentata da Carlo Franza.
Chiara Diamantini è nata nel 1949 a Senigallia dove risiede. Diplomata all’Accademia delle Belle Arti di Urbino nel 1972 ha legato, da allora, il suo percorso culturale al libro d’artista e alla poesia verbo-visiva. Nelle sue sperimentazioni poetico-visive ha sviluppato la “ricerca di una funzione estetica” per approdare “all’interazione tra parola e immagine”, utilizzando creativamente un linguaggio spesso simbolico. I suoi libri d’artista, le sue opere sono degli itinerari poetici, ricchi di contenuti e di eleganza formale, che si aprono all’interno delle citazioni dei più grandi esponenti della letteratura: Bréton, Kafka, Rilke, Pound, Praz, Miller, Shakespeare, Tennyson; e ancora Bachelard, Walser, Proust, Manzoni, Leopardi, Montale e Sbarbaro. I testi, decodificati, vivono di un’energia nuova, si arricchiscono di significati più profondi, che l’artista rivela stabilendo una relazione indissolubile tra la parola, il concetto e il segno, una connessione tra linguaggio e immagine che va oltre la semplice illustrazione. Chiara Diamantini ha tenuto varie mostre personali e numerose collettive in Italia e all’estero, è stata presente nei più importanti spazi espositivi, dalle Biennali di Venezia e di San Paolo all’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, dalla University Art Gallery di Sydney al Musée de la Ville di Parigi, dal Palazzo delle Esposizioni e la XI Quadriennale di Roma al MOMA di New York, dalla Fondazione Guggenheim di Venezia al Museo Pecci di Prato, dal National Museum of Women in the Arts di Washington al Mart di Rovereto. Sue opere figurano in importanti collezioni pubbliche e private. Nell’ambito del “XVI Premio Nazionale Arti Visive” ha ricevuto il premio acquisto “Città di Gallarate” per la Poesia Visiva. Insieme a Mirella Bentivoglio (di cui è amica e collaboratrice) ed Eugenio Miccini (fondatore del Movimento della Poesia Visiva in Italia) ha dato vita all’archivio verbo-visivo del Musinf di Senigallia, curando personalmente la catalogazione delle opere raccolte. Di lei hanno scritto: V. Accame, M. Bentivoglio, A. Boatto, V. Conti, M. D’Ambrosio, M. De Candia, A. Dragone, Carlo Franza, F. Gualdoni, Janus, M. Liverani, B. Mantura, E. Miccini, G. Niccolai, I. Panicelli, M. Pasquali, S. Rescio, N. Stringa, M. Vescovo, F. Vincitorio, F. Zoccoli e altri.
Bruno Mangiaterra è nato a Loreto nelle Marche nel 1952. Negli anni dello studio liceale e presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino e dopo nel suo percorso artistico, frequenta assiduamente artisti e critici contemporanei: G.Accame, R.Aricò, G.Ballo, A.Boatto, R.Buscaglia, P.P.Calzolari, G.d’Agostino, G.De Santi, E.Marchegiani, U.Piersanti, C.Pozzati, T.Toniato, nomi che lo hanno formato e inserito nel mondo dell’arte. Ripensa la concettualità come attraversamento delle Neoavanguardie e come libertà espressa del proprio coinvolgimento filologico del “fare arte”, non si dà pittura se non per manipolazione linguistica dei materiali intesa come ricerca della realtà in quanto significato della storia. Vive e lavora nelle Marche a Loreto (An). È stato docente di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico “E. Mannucci “ di Ancona, è stato segnalato più volte da Giulio Turcato, Pierre Restany, Elio Marchegiani, Mariano Apa, Carlo Franza, ha pubblicato libri d’arte e cartelle di incisioni con testi poetici, filosofi e letterati contemporanei tra gli altri: Giacomo Luigi Busilacchi, Umberto Piersanti, Eugenio De Signoribus, Plinio Acquabona, Gianni D’Elia, Giuseppe Cacciatore, Pasquale Venditti, Alessandro Catà, Francesco Scarabicchi, Galliano Crinella, Stefano Papetti, Gualtiero De Santi, Enrico Capodaglio, Massimo Raffaeli. Le sue opere sono presenti in numerose Collezioni pubbliche e private. Ha ideato numerose rassegne di Arte Contemporanea e convegni culturali per Enti e Istituzioni. Tra le ultime esposizioni: 2008 Premio delle arti – Premio della Cultura XX Edizione 2008, Circolo della stampa Milano; 2011 54° Esposizione Internazionale d’arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia Marche, a cura di Vittorio Sgarbi; 2016 Premio delle Arti – Premio della Cultura XXVIII Edizione, Artista dell’Anno, Circolo della stampa Milano 2016.
Rocco Natale è nato a Rapone (Pz), vive e lavora a Urbino dove insegna “Scultura” presso l’Accademia di Belle Arti. Opera nel campo della scultura dal 1981. L’elemento caratterizzante della sua ricerca artistica è l’assemblaggio di materiali come ceramica, rame, bronzo, ferro, pietra, legno. Attualmente si interessa a sperimentare impasti ceramici colorati. Intensa è la partecipazione a mostre personali e collettive quali: “Una nuovissima generazione nell’arte italiana” (Siena, 1985), “Forme del vedere” (San Quirico d’Orcia, 1986), Galleria “Il punto di svolta” (Roma, 1995), “Immaginazione aurea. Artisti-orafi e orafi-artisti nel secondo Novecento” (Ancona, 2001). Su invito di Giovanni Carandente nel 1988 ha esposto presso la Galleria “Il millennio” (Roma), alla Biennale d’Arte di Venezia (Aperto88) e alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Spoleto (“Memorie del sottosuolo”) nel 2006, Creative council via Marone 6 Milano 2009, Biennale di Venezia, lo stato dell’arte regione d’Italia, Orto dell’abbondanza, Urbino, Biennale di Venezia lo stato dell’arte regione d’Italia Galleria civica Potenza, 2011 Terra Formans, cortile della biblioteca, Sant,Agata bolognese 2012, Il silenzio della materia, museo Barbella Chieti 2016, Oltre il silenzio della materia, Bastione Sangallo, Loreto 2017, Silenziosi spazi senza tempo, Fortezza di Civitella del Tronto 2017, Forme Sensibili, Museo Tattile, Mole Vanvitelliana, Ancona2018, Premio Marche, Forte Malatesta, Ascoli Piceno 2018/19. Si sono interessati alla sua ricerca: Enrico Crispolti, Giovanni Carandente, Anna Caterina Toni, Mariano Apa, Bruno Ceci, Roberta Ridolfi, Massimo Bignardi, Silvia Cuppini, Arnando Ginesi, Francesca Pietracci, Gabriele Tinti, Lucio del Gobbo, Antonello Rubini, Micla Petrelli, Carlo Franza, Massimo Pasqualone, Susanna Morris, Giuseppe Tedeschi, Francesco Orsolini, Leo Stozieri, Carlo Melloni, Andrea B. Delguercio, Laura Monaldi, Lia Devenere, Alberto Berardi, Mario Pellegrini, Lucilla Melloni, Silvia Galzia, Cinzia Zungolo, Davide Tonti, Fabio Fraternali, Sara Bartolucci, Nunzio Giustozzi.
Carlo Franza
