Morto Germano Celant. Addio al critico d’arte padre dell’Arte Povera, ucciso dal Coronavirus.
E’ morto Germano Celant, critico dell’Arte Povera, oggi 29 aprile 2020 ucciso dal Coronavirus. Ho perso un grande amico. Aveva 80 anni, era ricoverato a Milano per Covid-19. Il collega era uno dei più celebri storici dell’arte contemporanea, italiano, alla fine degli anni Sessanta aveva dato vita al movimento di Arte povera, poi diventato il più rilevante fenomeno artistico in Italia nella seconda metà del Novecento. Germano Celant era nato a Genova nel 1940, si è spento all’Ospedale San Raffaele di Milano, dove era ricoverato da circa due mesi nella terapia intensiva e non ce l’ha fatta nella sua lotta contro le complicazioni dovute al Coronavirus. Aveva manifestato i primi sintomi di ritorno in Europa dagli Stati Uniti, dove era stato per l’Armory Show; ad aggravare la situazione, erano state le complicazioni consequenziali anche dovute al diabete. Lascia la moglie Paris Murray e il figlio Argento Celant. Scompare con lui una pagina basilare della storia dell’arte italiana contemporanea.Teorico di uno dei più noti movimenti d’arte italiana dal secondo dopoguerra, grazie alla sua vocazione internazionale aveva fatto conoscere gli artisti nostrani al mondo. La notizia ha destato sorpresa nel campo dell’arte internazionale, nelle sedi museali e negli amici e colleghi – ad iniziare da me- con i quali ha condiviso segmenti importanti dell’arte mondiale. Di famiglia modesta, si era laureato in Lettere (contro la volontà del padre, che l’avrebbe voluto ingegnere). Alla fine degli anni Sessanta ha dato vita al movimento di “Arte povera” coniandone la definizione e raccogliendo a sé un gruppo di artisti italiani illustri, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali ed Emilio Prini, esposti nella prima mostra alla Galleria La Bertesca di Genova. “Là un’arte complessa, qui un’arte povera, impegnata con la contingenza, con l’evento, con l’astorico, col presente, con la concezione antropologica, con l’uomo ‘reale’ (Marx), la speranza, diventata sicurezza, di gettare alle ortiche ogni discorso visualmente unico e coerente (la coerenza è un dogma che bisogna infrangere!), l’univocità appartiene all’individuo e non alla ‘sua’ immagine e ai suoi prodotti”, ha scritto Germano Celant in Appunti per una guerriglia, testo teorico fondamentale stilato nel 1967. E ancora: “Un nuovo atteggiamento per ripossedere un ‘reale’ dominio del nostro esserci, che conduce l’artista a continui spostamenti dal suo luogo deputato, dal cliché che la società gli ha stampato sul polso. L’artista da sfruttato diventa guerrigliero, vuole scegliere il luogo del combattimento, possedere i vantaggi della mobilità, sorprendere e colpire, non l’opposto”. Germano Celant era noto per essere il fondatore di Arte Povera, movimento artistico basato sulla riappropriazione del rapporto Uomo-Natura, sull’immanenza, sull’importanza del gesto artistico, in opposizione a un’arte piacevole e consumista che stava prendendo piede alla fine degli anni ’60, quando si affermò. Gli artisti che vi presero parte sono tutt’oggi gli italiani tra i più conosciuti e presenti sul mercato internazionale. È stato autore di oltre cinquanta pubblicazioni, tra cataloghi, approfondimenti sul lavoro di singoli artisti o scritti teorici come Conceptual Art, Arte Povera, Land Art del 1970. L’impegno di Germano Celant di presentare al mondo l’arte italiana si era manifestato attraverso il suo incarico come curatore al Guggenheim di New York e numerose mostre nei musei esteri. È stato direttore della prima Biennale di Firenze Arte e Moda e della Biennale di Venezia nel 1997. Tra i critici italiani più conosciuti, la sua carriera dal 2015 aveva raggiunto l’apice con la direzione artistica di Fondazione Prada. Germano Celant è stato tra i maggiori protagonisti dell’arte contemporanea italiana e del suo rinnovamento, voce seguitissima della critica internazionale. Molti lo conoscevano come il “critico faraone” per i lautissimi compensi, per il suo stile, per la sua verve, per il suo vestire sempre di nero, per un modario in cui ha lasciato su tanti progetti il suo nome. Un collega il cui nome era segnale di serietà e garanzia, e soprattutto professionalità, certo costosissima. Con lui si chiude così, in maniera drammatica, una grande epoca per l’arte contemporanea in Italia. Mi rimangono le sue telefonate che spesso mi faceva da New York, e lo scambio di prospettive che ci scambiavamo.
Germano Celant. Nato a Genova nel 1940, da padre impiegato in una ditta di import-export e madre casalinga, Germano Celant da giovanissimo iniziò a frequentare il vivace ambiente culturale che si stava sviluppando in quegli anni nella città ligure. Conobbe il gruppo dei cantautori, Gino Paoli, Umberto Bindi e Luigi Tenco e frequentò lo stesso Liceo di Fabrizio De Andrè. Nella metà degli anni ’60, iniziò a scrivere per riviste di cultura, nel 1964 lavorò alla progettazione di un libro sul design della Olivetti e, viaggiando tra Milano e Torino, conobbe Arturo Schwarz e Gian Enzo Sperone – qui ebbe modo di vedere la mostra di Andy Warhol, con Leo Castelli e Ileana Sonnabend tra gli invitati – oltre al gruppo di quelli che sarebbero poi diventati gli alfieri dell’Arte Povera. Celant coniò la definizione di Arte Povera nel 1967, inquadrando un nutrito gruppo di artisti italiani che comprendeva Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali ed Emilio Prini, le cui opere furono esposte nella mostra leggendaria alla Galleria La Bertesca di Genova. Nel 1968 la consacrazione con la mostra “Arte Povera più azioni povere”, nell’ambito della Rassegna Internazionale di Pittura agli Arsenali di Amalfi, organizzata da Marcello Rumma e recentemente ricordata in una mostra al Madre di Napoli, a cui parteciparono Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio, Ableo, Paolo Icaro, Pietro Lista, Gino Marotta, Gianni Piacentino, Richard Long, Jan Dibbets, Ger van Elk. Piero Gilardi, invece, non espose ma partecipò al convegno successivo, considerato uno degli atti fondativi dell’Arte Povera e, in generale, del rinnovamento dell’arte italiana, durante il quale intervennero anche i colleghi storici e critici Achille Bonito Oliva, Gillo Dorfles, Filiberto Menna, Angelo Trimarco. Successivamente precisò la direzione teorica del gruppo, attraverso scritti ancora oggi attualissimi, come Conceptual Art, Arte Povera, Land Art del 1970. Nel 1977, iniziò a collaborare con il museo Guggenheim di New York, di cui diventò in seguito senior curator. Sempre al Guggenheim allestì nel 1994 la mostra “Italian Metamorphosis 1943-1968”, nel tentativo di avvicinare l’arte italiana alla cultura americana, un obiettivo costantemente ricercato da Celant, attraverso una serie di mostre dal forte taglio innovativo, nei musei più importanti al mondo, dal Centre Pompidou di Parigi, nel 1981, a Palazzo Grassi, a Venezia, nel 1989. Nel 1997 fu nominato direttore della 47ma Biennale d’Arte di Venezia. «Non vorrei essere presuntuoso, ma credo che il compito che mi sono posto, appena venuto a conoscenza dell’incarico, sia stato quello di “mostrare” che la Biennale è potenzialmente uno strumento ad alto funzionamento qualitativo. A parte le infinite difficoltà politiche e burocratiche, la Biennale è un meccanismo espositivo unico al mondo, con potenzialità infinite sia sul piano dell’informazione che della didattica, sia della ricerca che del funzionamento. Gestita al massimo della sua potenza – che non è potere – potrebbe diventare un meccanismo a tempo pieno per la cultura contemporanea, e questo senza gravare molto sulla città e sullo stato. Lavorando a una sua ottimizzazione procedurale e funzionale, i risultati sarebbero sorprendenti. Infine, un altro traguardo che mi sono imposto è stato quello di riportare a Venezia i grandi protagonisti dell’arte mondiale, in tutte le loro manifestazioni linguistiche e di diverse generazioni», scriveva a commento della sua nomina. “Futuro, Presente, Passato” era il titolo della sua mostra, che presentava opere di artisti come, tra gli altri, Maurizio Cattelan, Enzo Cucchi, Ettore Spalletti, Marina Abramovic, John Baldessari, Vanessa Beecroft, Daniel Buren, Cai Guo Qiang, Dinos e Jake Chapman, Francesco Clemente, Gino De Dominicis, Jan Dibbets, Jim Dine, Jan Fabre, Luciano Fabro, Rebecca Horn, Ilya e Emilia Kabakov, Anselm Kiefer, Jeff Koons, Sol LeWitt, Roy Lichtenstein, Mario Merz, Annette Messager, Mariko Mori, Maria Nordman, Claes Oldenburg, Dennis Oppenheim, Giulio Paolini, Gerhard Richter, Pipilotti Rist, Edward Ruscha, Haim Steinbach, Luc Tuymans, Emilio Vedova, Franz West, Gilberto Zorio. Celant non abbandonò mai il piacere della scrittura e ha continuato a collaborare per importanti riviste e giornali. Dal 2015, Celant è stato soprintendente artistico e scientifico della Fondazione Prada, per la quale, fin dalla metà degli anni ’90, ha curato mostre memorabili. Dalla prima personale in Italia di Walter De Maria, nel 1999, a “Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918–1943“, grande collettiva, presentata nel 2018, con più di 600 lavori, fino alla prima retrospettiva dedicata a Jannis Kounellis dopo la sua scomparsa, presentata nel 2019 nella sede di Venezia della Fondazione. Nel 2001 è stato commissario del Padiglione Brasiliano alla 49ma Biennale Internazionale d’arte di Venezia, nel 2004 supervisore artistico della programmazione dei cento eventi culturali di “Genova 2004, Capitale Europea della Cultura”. Dal 2005 è curatore della Fondazione Aldo Rossi, Milano e, dal 2008, è stato curatore artistico e scientifico della Fondazione Annabianca e Emilio Vedova, Venezia. In occasione di Expo 2015, ha curato la mostra “Art & Food” alla Triennale di Milano. Figura e intellettuale da sempre in relazione con le avanguardie, le neoavanguardie, i collettivi e le tendenze. L’Italia perde un intellettuale di chiara fama.
Carlo Franza