Dal Futurismo all’Informale. Capolavori nascosti nelle Collezioni del MART
Inaugurata al MAG, Museo Alto Garda, la mostra “Dal futurismo all’Informale. Capolavori nascosti nelle collezioni del Mart”. Frutto della decennale collaborazione con il Mart Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, l’esposizione aperta fino al 29 ottobre 2023 vuole mostrare al grande pubblico una prestigiosa selezione dei capolavori presenti nelle collezioni del Mart appartenenti ad alcune tra le maggiori correnti artistiche del Novecento, come il Futurismo, il Realismo del Secondo Dopoguerra, l’Astrattismo e l’Informale.
Nata da un’idea del collega Vittorio Sgarbi, presidente del MAG e del Mart, e curata da Alessandra Tiddia, storica dell’arte e curatrice del Mart, la mostra è concepita come un suggestivo viaggio nell’arte italiana del Novecento. Si tratta di un percorso espositivo che esplora e racconta l’ideazione e la sperimentazione di nuovi linguaggi ed espressività: i trentasei capolavori presenti in mostra rappresentano straordinarie testimonianze delle più importanti correnti artistiche del Novecento italiano.
La sezione iniziale è un omaggio al Futurismo: nella prima sala, infatti, troviamo importanti opere di celebri artisti appartenenti a questa avanguardia, come Rissa rustica (1936), Gallo (1937-1938 ca) e Il legnaiolo (19326-1931) di Fortunato Depero in dialogo con i Pappagalli (1929) di Giacomo Balla e i lavori di Gino Severini. Questa prima parte riporta alla mente l’urgenza di questi artisti nel concepire un’estetica quotidiana altra, ripensando linee, forme, contenuti così da rivoluzionare l’ideale estetico del tempo e mettere in atto una ricostruzione futurista dell’universo. A fianco di queste opere si trovano quelle di Tullio Crali e Mino Delle Site, esponenti futuristi della cosiddetta “Aeropittura” che intendevano trasmettere le sensazioni e le emozioni provate durante il volo così da sperimentare una visione vertiginosa del paesaggio.
Si prosegue con Massimo Campigli, Carlo Carrà, Felice Casorati, Giorgio de Chirico e Giorgio Morandi, artisti che operano a cavallo delle due guerre mondiali e che si distinguono sia per un bisogno di recupero di riferimenti stabili, di porti sicuri dove rifugiarsi a seguito dei disastri provocati dai conflitti, sia per uno riuso della tradizione classica grazie a uno sguardo rivolto all’antico. In questo senso sono emblematici i lavori di Carrà come Natura morta con pesci (1954) e Venezia e la Salute (La Dogana) (1938) che si caratterizzano per forme semplificate e figure sintetiche, oltre a Trovatore (1950), Piazza d’Italia-Pomeriggio d’Arianna (1972) e Figura di Giovane con oggetti metafisici (1969) di de Chirico che reinterpretano la classicità contemplando la rovina e conferendole un senso metafisico ed enigmatico-
L’Idolo (Cariatide) (1961) di Campigli ci riconduce a un corpo femminile regale e maestoso, dai tratti stilizzati e geometrici, come sospeso in un tempo molto lontano, la cui eternità è cadenzata dal ritmo di poche forme elementari.
Addentrandoci nell’esposizione si scoprono i lavori di Renato Guttuso come Donna alla finestra(1942), Boogie-woogie (Boogie-woogie a Roma) (1953) e di Emilio Vedova quali Ciclo 62.B.B.9 (1962) e Uomo e macchina (1949): entrambi gli artisti, antifascisti e iscritti al Partito Comunista Italiano, sperimentano nuovi linguaggi ed espressività, l’uno più popolare, l’altro più gestuale. Il viaggio prosegue con esponenti dell’Astrattismo quali Carlo Belli, Fausto Melotti e Mario Radice: Vaso (1955) di Melotti, artista poliedrico, con la sua ceramica smaltata policroma, dialoga con i toni rosati delle opere di Radice e Belli.
Si passa poi all’incontro con esponenti artistici che hanno dedicato le loro produzioni alla riflessione sul segno, il simbolo, la referenzialità di significati e significanti: si tratta di Giuseppe Capogrossi, Gastone Novelli e Carla Accardi. Di quest’ultima, non solo artista ma anche esponente del neo-femminismo italiano, si trovano in mostra Lago artificiale n.2 (Lago artificiale in Sicilia) (1962) e Integrazione (1957): nella prima opera si riscontra un accostamento del colore che provoca una luce più intensa mentre nella seconda si avverte una vibrazione di piccoli segmenti realizzati in bianco su fondo nero che sembrano rappresentare un’enigmatica grafia, un linguaggio sconosciuto.
Chiudono la mostra tre nomi straordinari: Alberto Burri, Antoni Tàpies e Lucio Fontana. Figura. Paisaje en gris (1956) di Tàpies, Sacco combustione (1952-1958) e Bianco Plastica BL1 (1964) di Burri delegano alla materia il significato intrinseco dell’arte, incontrano il materiale inesplorato e considerato povero rispetto al tradizionale, come sabbia, sassi e cocci utilizzati nei loro lavori, e sperimentano una gestualità più istintuale.
Ancora più sovversiva appare l’azione di Fontana, il fondatore dello Spazialismo, una delle neo-avanguardie del secondo Novecento. Attraverso buchi e tagli, concentrati e meditati, le sue opere sembrano oltrepassare i confini e proiettarsi verso l’infinito.
Questi sono alcuni dei protagonisti di questo percorso espositivo di grande richiamo in grado di catturare l’attenzione sia del pubblico turistico italiano e straniero che visita il lago di Garda nel periodo estivo, sia degli appassionati e dei cultori della materia che hanno la possibilità di ammirare nella suggestiva cornice del Museo di Riva del Garda gli importanti capolavori del Mart, frutto di una mirata strategia di acquisizione, che vanno a costituire una delle più estese e significative collezioni di arte moderna e contemporanea di tutt’Europa.
Carlo Franza